Sophie Frammento di vita.
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Foglio di personaggio Isola Vergine: La vipera del hypnose Vita: (30/100)
| Titolo: Il nostro scopo Mar Giu 15, 2010 1:28 pm | |
| Victor Frankl scrisse: “Non c’è niente che possa maggiormente aiutare una persona a superare o a sopportare le avversità che la consapevolezza di avere uno scopo nella vita”. Egli definì una forma di nevrosi detta “noogena”, partendo dalla considerazione del fatto che l’equilibrio psichico dipende dalla percezione del significato del proprio sé e del proprio vissuto. Quando la persona non si sente significativa, cerca una compensazione alla sofferenza che ne deriva, in gratificazioni artificiali, come le droghechimiche e psichiche, oppure in manifestazioni di forza con comportamenti distruttivi e autolesionisti. La sofferenza psichica dell’uomo moderno, quindi, non ha più, o non ha solo, origine dalla frustrazione sessuale (come Freud scoprì nel’900), ma dal sentirsi frustrato nell’universo valoriale.Tutti abbiamo bisogno di spinte motivazionali, abbiamo bisogno di sapere che ciò che facciamo ha uno scopo. Non importa che sia un obiettivo molto nobile, importa che sia un obiettivo gratificante per noi. Ciascuno di noi preferisce fare alcune cose e non altre, ha certe attività che lo soddisfano e altre che non sopporta. Per sapere quale sia la nostra motivazione non esiste una ricetta valida per tutti. Ciò che ci spinge ad agire e determina la nostra volontà è differente per ciascuno di noi.Le nostre decisioni sono determinate da fattori innati e da altri acquisiti, e ciò che è bene per noi può non esserlo per qualcun altro. L’importante è riuscire a trovare uno stimolo adatto a noi e capace di spingerci all’azione. Senza uno scopo la persona si sente svuotata, puòsentirsi inutile e frustrata. Quando ci si sente demotivati si cade nella depressione e si soffre. Alcuni studi fatti sulla depressione concordano nel ritenere che, anche se non si può escludere l’aspetto organico, alla base di questo disturbo vi sia il modo di pensare e di affrontare la vita. Il non avere motivazioni è una causa di depressione non organica, ma legata al pensiero e alla volontà. Quando una persona pensa di non avere scopi, non ha interessi, in un certo senso si lasciamorire. Comunque, anche senza arrivare a casi gravi, chiunque si senta scarsamente motivato prova dolore, fa più fatica ad affrontare la giornata. Un primo passo, dunque, per migliorare il nostro umore e procedere sulla strada della felicità è quello di trovare il nostro scopo. Dalle piccole alle grandi cose, cosa ci piace? Cosa ci fa stare bene? Cosa ci dà la carica? Cerchiamo le motivazioni del nostro agire, i piccoli premi nella vita. Nel campo motivazionale si può spaziare in lungo e in largo, e ciò che stimola una persona può essere indifferente per un’altra, quando non addirittura aborrito.Il maggior contributo in psicologia allo studio del benessere lo si deve a Martin Seligman, fondatore della Psicologia positiva. Con questo ramo della psicologia si è incominciato ad occuparsi della felicità e dell’ottimismo. L’oggetto degli studi di Seligman e dei suoi collaboratori non è, come si era fatto per decenni, la malattia psichica, ma le capacità, i punti di forza, le qualità cognitive in grado di migliorare la vita dell’individuo. Si tratta,tra l’altro, di valorizzare le proprie risorse. Le persone sono considerate soggetti attivi, in grado di scegliere e di assumersi la responsabilità della propria vita. Lo psicologo A.S. Waterman ha introdotto il concetto di “eudaimonia” , secondo la quale la realizzazione delle proprie potenzialità e abilità è a fondamento del benessere dell’individuo. Egli parla di “espressività personale” intendendo l’espressione del proprio vero sé, ossia delle proprie naturali abilità al fine di ottenere il benessere psicologico. La felicità. Ma cos’è “la felicità”? Si potrebbe ritenere che la felicità nasca dall’esaudimento dei nostri desideri più intimi e personali. Saremmo felici se il nostro desiderio fosse realizzato. Quindi, la ricerca della felicità nascerebbe dalla mancanza. Se si pone la domanda “Cosa ti renderebbe felice?”, ognuno dà una diversa risposta a seconda di ciò che sente come mancante e che quindi desidera fortemente. Quanto più è “vitale” ciò che manca, tanto più si identifica la felicità con esso (ad es.: felicità =salute, felicità = cibo, felicità =benessere, felicità = uomo/donna che mi ami, felicità = figlio…ecc.). Man mano, però, che il desiderio si realizza, un altro prenderà il suo posto, in una ricerca senza fine. Quando si ha tutto, ci si rende conto che non si è ancora felici. La nostra società è centrata sull’Io, esalta il Sé conducendo all’individualismo. Essendo l’individuo il centro del mondo, tutto ruota attorno a lui, ciò che conta è la gratificazione del proprio ego. L’accento è posto sull’affermazione di sé e la vita ha come fine se stesso. L’ego si identifica con differenti “oggetti”, in prevalenza beni materiali, status simbol, ruoli sociali, aspetto fisico, relazioniaffettive, lavoro. Queste identificazioni sono alla base dei desideri,della continua ricerca di colmare mancanze che vengono considerate indispensabili per il proprio bene. Purtroppo, queste identificazioni sono per lo più fonte di sofferenza, poiché la ricerca diventa senza fine. Oltretutto, l’identificazione del sé con questi beni, siano essi materiali o simbolici, porta alla paura di perderli e quindi al timore di perdere la propria identità. Ma l’essere umano non è ciò che possiede, o meglio che crede di possedere. A partire da questa realtà, c’è chi sostiene che la felicità non sia in qualcosa di esterno, ma in noi stessi. Per cui nulla di ciò che ho, o che mi succede può rendermi felice o infelice, poiché la felicità sono io. Capendo ciò, si sarebbe felici anche nella più totale indigenza. Pur riconoscendo che la felicità non risieda in un oggetto esterno, non credo si possa sostenere che la felicità sia in noi, e vada ricercata in noi. Ma allora in cosa risiede la felicità? Non sarà, forse, che la parola felicità è stata inventata da chi, per sua natura, sa essere felice? Il dubbio viene! La felicità, credo, non sia di tutti a priori. L’essere felici credo sia una caratteristica personale, la capacità di essere felici sarebbe un po’ come una qualità soggettiva che si ha oppure no. La differenza però, sta nel fatto che si può cercare di ottenere, nella propria vita, il maggior livello di serenità possibile. Ci sono persone che, per loro natura, sono ottimiste, vedono la vita con “occhiali rosa”, hanno più facilità a vedere il lato positivo di ogni evento. Sono però molte le persone che non sono dotate di questa caratteristica. Esistono vie attraverso le quali accrescere il proprio potenziale di serenità, prendendo in mano la propria esistenza. E’ un po’ come per chi non sia dotato di grande memoria, ma che con tecniche appropriate e buona volontà, riesca a migliorare parecchio le sue capacità mnestiche. Anche i pessimisti, non dotati da madre natura della qualità dell’essere felici, possono raggiungere buoni livelli di benessere. Studi hanno dimostrato come per essere autenticamente felici occorra esercitare le proprie potenzialità, ossia quelle capacità che ci riconosciamo e che esercitando le quali ci sentiamo pieni di energia. Dobbiamo fare attenzione a quelle attività in cui ci sentiamo più ispirati, svolgendo le quali il tempo non esiste più, la fatica non si sente, persino la fame e la sete diminuiscono. In queste situazioni ci sentiamo pieni di vita e di energia, questo stato psicologico è detto “flow”. Se ci dedichiamo a ciò che ci gratifica, la nostra vita migliora e si riempie di significato. Esistono test che aiutano a capire quali siano le potenzialità personali di ciascuno. Le abilità possono spaziare dall’intelligenza pratica, all’amore per il sapere, al coraggio, all’intelligenza emotiva, all’onestà, alla generosità, alla religiosità, all’amore per l’arte, per la bellezza, alla passione per la natura, alla musica… Quando ci si immerge in attività concernenti le proprie potenzialità,si entra in uno stato di serenità, di forza, il tempo non esiste più, ci si sente davvero bene. La serenità che si raggiunge è tale che alcuni parlano di “esperienzasuperiore” in cui i nostri pensieri non sono limitati e si attiverebbero forze prima fuori dalla nostra portata e, come osserva anche lo scrittore Coelho, l’universo cospira perché si realizzi ciò che desideriamo. Si realizza l’antico proverbio zen: “Quando lo studente è pronto il maestro compare”. Si verificano coincidenze significative che ci aiutano a perseguire il nostro obiettivo ed è come se tutto andasse in una precisa direzione. E’ importante cercare di capire qual è il nostro scopo e perseguirlo senza farsi intimorire dalle critiche e dai giudizi altrui. Coma scrisse il filosofo francese Michel de Montaigne: “Il grande e glorioso capolavoro dell’uomo è vivere per uno scopo”. La felicità, infine, consiste nel vivere esperienze che siano in sintonia con la propria natura profonda. L’ostacolo che incontriamo nel comprendere quale sia il nostro scopo è nella nostra mente. Ciò che crediamo di essere, ciò che riteniamo di saper fare condiziona ciò che facciamo. Scrive James Redfield :“Tutti noi abbiamo uno scopo spirituale, una missione, che perseguiamo senza esserne del tutto consapevoli. Nel momento in cui lo portiamo completamente alla coscienza, le nostre vite possono decollare.” Proprio il fatto che noi non si sia consapevoli delle nostre potenzialità, ci limita e ci porta a seguire un cammino che non è il nostro.Ciò che pensiamo, ciò che desideriamo, le emozioni che proviamo sono determinati dalle nostre credenze. La maggior parte delle credenze non è consapevole. Noi non siamo coscienti della più parte di ciò in cui crediamo, ma la nostra vita tutta ne è condizionata. Per poter trovare il nostro scopo, per poter agire secondo le nostre reali motivazioni, occorre cambiare le credenze inconsapevoli che ci imprigionano in un “destino” nefasto. Occorre modificare i circuiti neuronali che sottendono le nostre credenze e modificare, così, le emozioni, i desideri, le motivazioni. In questo, la psicoterapia è di grande aiuto, come recenti studi mostrano. Anzi, il vero scopo dello psicoterapeuta è aiutare a trovare la propria strada verso il benessere, piuttosto che scavare in un passato ormai lontano. Essere felici significa vivere le esperienze che vogliamo davvero, facendo coincidere gli aspetti consapevoli con quelli inconsapevoli della nostra mente.Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini. Per tutta la vita l’aquila fece quel che facevano i polli del cortile, pensando di essere uno di loro. Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali alzandosi da terra di qualche decimetro. Trascorsero gli anni, e l’aquila divenne molto vecchia. Un giorno vide sopra di sé, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, muovendo appena le robuste ali dorate. La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita. “Chi è quello?”, chiese. “È l’aquila, il re degli uccelli”, rispose il suo vicino. “Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli.” E così l’aquila visse e morì come un pollo, perché pensava di essere tale. Victor Frankl (1905-1997) fu tenuto prigioniero sia ad Auschwitz che a Dacau. Scrisse, tra gli altri, Alla ricerca di un significato della vita A.S.Waterman “Two conceptions of happyness:contrast of personal expressiveness (eudaimonia) and hedonic enjoiment”, Journal of Personality and Social Psychology,64,1993 La parola greca eudaimonia, correntemente tradotta con "felicità", indica uno stato di benessere che comprende sia la soddisfazione personale dell'individuo, sia la sua collocazione nel mondo. Nell'etimologia della parola è implicita l'idea che un buon daimon abbia presieduto all'assegnazione del destino individuale, in una sfera più ampia delle sensazioni personali: la propria sorte ha a che vedere con la propria collocazione nel mondo, e non solo con l’umore, o con i divertimenti della vita privata. |
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